Authors:Marta Rossi Doria Pages: 1 - 29 Abstract: Nel processo inquisitorio romano-canonico, una rigida applicazione delle regole del sistema di prova legale non avrebbe reso possibile la condanna di un imputato gravato da soli indizi e presunzioni, ponendo non pochi ostacoli all’amministrazione della giustizia criminale, orientata al principio dell’interesse pubblico alla persecuzione dei reati. Un’affermazione di Innocenzo IV contenuta nel commento al c. Quia verisimile (X 2.23.10) aprì la via alla condanna presuntiva: il giudice avrebbe potuto condannare l’imputato in assenza di piena prova, a patto di infliggere una pena ridotta. Nella sua formulazione originale la massima innocenziana non rappresentava più che una raccomandazione di prudenza. Fu l’elaborazione dottrinale a trasformarla, oltre le intenzioni del suo autore, in uno strumento capace di incidere sulla teorica rigidità del sistema di prova legale, ammettendo discrezionalità nel modulare la pena e nell’applicarla anche in situazioni di carenza di prova. In questo dibattito, che il presente studio intende analizzare nelle sue tappe fondamentali, il contributo dei decretalisti ha avuto un peso di primo piano: anche per tale via si manifesta il ruolo centrale assunto dalla scienza canonistica nella riflessione dottrinale sulla teoria della prova legale. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16880
Authors:Mario Ascheri Pages: 31 - 45 Abstract: Proposito di questo contributo è presentare il lavoro svolto da alcuni giuristi italiani a inizio del secolo XVI, in occasione di una nuova serie epidemica, per contribuire a prevenire e a contenere le epidemie. I loro trattati, in latino, ebbero larga circolazione europea e seppero sintetizzare l’esperienza di tanti secoli. I loro consigli indicavano ai governi le possibilità di intervento che il diritto comune europeo conferiva loro per cui sono utile strumento di valutazione dei provvedimenti adottati localmente. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16881
Authors:Giacomo Alberto Donati Pages: 47 - 107 Abstract: Il tema dell’evasione dal carcere risulta essere tra quelli attorno ai quali, in epoca di utrumque ius, si appuntò l’attenzione tanto della dottrina civilistica quanto di quella canonistica (oltre che di grandi nomi della cultura occidentale come Tommaso d’Aquino). Attraverso il ricorso a diversi generi letterari (commentaria, tractatus, consilia, decisiones, practicae), il presente contributo si prefigge il compito di illustrare alcune delle conclusioni più rilevanti sul tema, prendendo specialmente in considerazione quel torno di tempo dato dal tramontare del Medioevo nella prima Modernità. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16885
Authors:Matteo Traverso Pages: 109 - 130 Abstract: L’articolo intende approfondire la contrapposizione che si ebbe a cavallo tra il 1722 ed il 1723 tra Vittorio Amedeo II e il Senato di Piemonte a causa dell’assoluzione che questa magistratura diede ad una guardia campestre che era stata sorpresa armata nel mandamento di Mondovì in violazione di un editto regio. Le rimostranze sovrane, le difese dei senatori e i pareri degli altri giuristi interpellati dal re consentono di ricostruire questo scontro ma consentono anche di indagare una questione più importante: fino a che punto poteva arrivare il potere interpretativo di una corte sovrana sulla normativa regia' PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16886
Authors:Maria Natale Pages: 131 - 171 Abstract: La condizione giuridica degli ebrei, sin dai primi anni del XVI secolo, fu disciplinata a Napoli da un susseguirsi di provvedimenti dal contenuto variamente afflittivo. Rispetto a tali precedenti, la riforma varata da Carlo di Borbone segnò una svolta epocale. Adottato dopo una lunga e problematica gestazione, l’editto costituì parte di un più ampio quadro di riforme finalizzato a «coltivare l’umana società». In tale prospettiva, più fonti documentano il collegamento esistente tra quell’iniziativa e la coeva istituzione del Supremo Magistrato del Commercio. L’orizzonte comune ad entrambe le riforme risiedeva nella volontà di dare vita ad una nuova Napoli “giudaica”, produttiva e commerciante: un’ambizione di rinnovamento che si infranse allorquando s’indebolì, e poi venne meno, la base di consenso e di sostegno politico che aveva trainato le riforme. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16887
Authors:Ida Ferrero Pages: 173 - 198 Abstract: I documenti conservati presso l’Archivio Ebraico Terracini testimoniano l’evoluzione nel tempo dell’applicazione della legislazione che riguardava la vita delle comunità ebraiche. Il contributo si concentra in particolare sullo studio dei documenti notarili e processuali relativi alla proprietà della sinagoga e del cimitero ebraico nel periodo che va dalla dominazione napoleonica all’unità d’Italia. Durante il periodo napoleonico, agli ebrei residenti nei territori controllati dai francesi venne applicata la legislazione francese che aveva permesso loro di divenire proprietari immobiliari. Per questa ragione, alla Università israelitica di Mondovì fu attribuita la proprietà della parte di immobile che ospitava la sinagoga e del terreno adibito a cimitero israelitico. Dopo la Restaurazione, però, venne reintrodotto il divieto di accesso alla proprietà immobiliare per gli ebrei del Regno di Sardegna. Per questa ragione, sebbene la Comunità avesse comprato dal proprietario l’edificio della Sinagoga e avesse ottenuto dall’amministrazione francese la proprietà del terreno del cimitero, non vennero più considerati come proprietari. Dopo l’emancipazione ebraica del 1848 e con l’unità italiana, la comunità ebraica monregalese rivendicò i suoi diritti di proprietà su tali beni immobili: il mio studio mira a mostrare, attraverso l’analisi dei documenti archivistici, l’evoluzione nel tempo dell’applicazione delle regole relative all’accesso alla proprietà immobiliare per la comunità ebraica monregalese. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16888
Authors:Mario Riberi Pages: 199 - 255 Abstract: Il giurista nizzardo Giovanni de Foresta è un personaggio poco noto e pochissimo studiato, nonostante il suo notevole apporto dato alla causa dell'unità d'Italia. Sostenitore di Cavour, sedette alla Camera subalpina per due legislature, la IV e la V, e rivestì due importanti incarichi di governo: fu ministro di Grazia e Giustizia sia nel primo governo D’Azeglio sia nel secondo governo Cavour, nel periodo di entrata in vigore delle leggi Siccardi. Oggetto di questo articolo sono i progetti elaborati da De Foresta durante questi due incarichi ministeriali. Innanzitutto il progetto che si tradusse nella legge del 26 febbraio 1852 sull’introduzione di misure restrittive della libertà di stampa: il dibattito parlamentare che ne seguì portò alla frattura della destra e alla stagione del "connubio" Cavour-Rattazzi. Successivamente viene illustrata l’opera svolta da De Foresta negli anni 1855-59 per il rinnovamento della codificazione del Regno di Sardegna attraverso l’apertura di un cantiere sia per l’elaborazione del codice di procedura civile sia per la revisione dei codici penali, che nel 1860 sostituirono quelli albertini. È infine presentato il contributo dato nel 1858 da De Foresta all'alleanza con la Francia, ritenuta indispensabile da Cavour per realizzare l'unità d'Italia, quando il Guardasigilli, per venire incontro alle richieste del governo francese, fece approvare dal Parlamento subalpino la legge sulle sanzioni da infliggere ai cospiratori contro i capi di stato stranieri. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16889
Authors:Pietro Schirò Pages: 257 - 294 Abstract: L’articolo tratta la genesi della penalistica sociale che si afferma nell’ultimo ventennio del XIX secolo, ovvero un movimento di giuristi che mostra grande sensibilità per la dimensione sociale del diritto e attribuisce un ruolo decisivo ai fattori sociali nella generazione dei crimini. Una prima parte dell’articolo si concentrerà sulla definizione della penalistica sociale e sul superamento dell’etichetta socialismo giuridico; successivamente verranno considerati i diversi contributi apportati alla penalistica sociale da Pietro Ellero e da Enrico Ferri. I due autori possono essere considerati i precursori della penalistica sociale. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16890
Authors:José Rafael Gómez Biamón Pages: 295 - 322 Abstract: I Ladini del Trentino-Alto Adige/Südtirol sono una minoranza etnica con una storia antica sviluppatasi sulle Dolomiti, una terra selvaggia dalla bellezza straordinaria. In accordo con la Costituzione italiana, i Ladini hanno acquisito diversi diritti collegati alla loro lingua e alla loro storia. La storia ladina ha inizio in epoca romana imperiale: localizzati in posti strategici, tra vallate alpine e valichi di montagna che collegano la penisola italiana all’Europa centrale, diversi popoli germanici, dopo la fine dell’Impero Romano, invasero la zona e lì si stabilirono,imponendo le loro usanze e le loro leggi. Le cosiddette ‘leggi barbariche’, insieme alle leggi carolingia ed ecclesiastica, diedero vita a un particolare sistema legale durante il Medioevo. In seguito i ladini divennero parte del Sacro Romano Impero e successivamente della casa d’Asburgo. Conseguentemente alla prima guerra mondiale, l’Italia ottenne la regione dall’Impero Austroungarico nel trattato di pace di Saint Germain-en-Laye del 1919. L’esperienza italiana con i ladini iniziò poco dopo la fine della prima guerra mondiale, con diverse pubblicazioni atte a comprenderne le origini della lingua e del popolo in generale. Da allora l’interesse per i Ladini non è più cessato. Nel 1998 la Corte Costituzionale ha riconosciuto al popolo ladino il diritto ad essere rappresentato in istituzioni regionali, rispondendo alla realtà storica e sociale dell’Alto Adige/Südtirol. La resilienza legale dei Ladini testimonia quindi una lunga storia di vittorie pacifiche per i loro diritti associati alla loro lingua, in un contesto di procedure giuridiche, partecipazione politica e legislazione. In confronto a quelli del Trentino-Alto Adige/Südtirol, i Ladini residenti in altre regioni, quali ad esempio Friuli Venezia Giulia e Veneto, non hanno tuttavia raggiunto pari livelli di autonomia e di privilegi. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16891
Authors:Floriana Colao Pages: 323 - 376 Abstract: Nel Programma di Giangastone Bolla per la Rivista di diritto agrario (1922) la proprietà fondiaria era banco di prova delle «moderne trasformazioni del diritto di proprietà» – su cui Enrico Finzi – in primo luogo con la «funzione sociale». Nell’azienda agraria Bolla osservava inoltre lo spostamento dalla proprietà all’impresa; asseriva che il legame tra l’agricoltura e lo Stato imponeva allo studioso del diritto agrario l’impegno per la «ricostruzione sociale ed economica del paese». In vista della «funzione sociale» Arrigo Serpieri – dal 1923 sottosegretario di Stato all’Agricoltura – promuoveva diversi provvedimenti legislativi per la «bonifica integrale»; la politica per l’agricoltura si legava all’organizzazione dello Stato corporativo in fieri (Brugi, Arcangeli). Il Testo unico del 1933 mirava al risanamento della terra per aumentarne la produttività e migliorare le condizioni dei contadini con trasformazioni fondiarie di pubblico interesse, con possibili espropri di latifondi ed esecuzione coatta di lavori di bonifica su terre private; dal 1946 il Testo unico del 1933 sarà considerato una indicazione per la riforma agraria (Rossi Doria, Segni). Nel primo Congresso di diritto agrario, (Firenze 1935), Maroi, Pugliatti, Serpieri, D’Amelio, Bolla, Ascarelli, Calamandrei discutevano alcune questioni, in primo luogo il diritto agrario come esperienza fattuale, legato alla vita rurale, irriducibile ad un ordine giuridico uniforme; da qui la lunga durata della ‘fortuna’ dell Relazione Jacini sulle diverse Italie agrarie. In vista della codificazione civile, i giuristi rilevavano l’insufficienza dell’impianto individualistico; ponevano l’istanza di norme incentrate sul bene e non sui soggetti, fino al superamento della distinzione tra diritto pubblico e privato. I più illustri giuristi italiani scrivevano nel volume promosso dalla Confederazione dei lavoratori dell’agricoltura; La Concezione fascista della proprietà esprimeva il distacco dalla concezione liberale – con l’accento sulla proprietà della terra fondata sul lavoro (Ferrara, Panunzio) – e teneva ferma l’iniziativa privata (Filippo Vassalli). Bolla ribadiva la particolarità della proprietà fondiaria tra ordinamento corporativo e progetto del codice civile, «istituto a base privata, aiutato e disciplinato dallo Stato», con il titolare «moderator et arbiter» della propria iniziativa. Nel codice civile del 1942 la proprietà fondiaria aveva senso dell’aspetto dinamico dell’attività produttiva, senza contemplare la «funzione sociale» come «nuovo diritto di proprietà» (Pugliatti, Vassalli, D’Amelio). Dopo la caduta del regime fascista le lotte nelle campagne imponevano al ministro Gullo di progare i contratti agrari e regolare l’occupazione delle terre incolte, con concessioni pluriennali ai contadini occupanti; il lodo De Gasperi indennizzava i mezzadri. Le differenti economie delle ‘diverse Italie agrarie’ sconsigliavano una riforma uniforme (Rossi Doria, Serpieri); i riorganizzati partiti politici miravano alla ripartizione delle terre espropriate e ad indennizzi al proprietario privato, senza lesioni del diritto di proprietà. L’iniziale azione dello Stato ad erosione del latifondo, con appositi Enti di riforma, aveva per scopo la valorizzazione della piccola proprietà contadina (Segni, Bandini). Per coniugare proprietà privata ed interesse sociale nella Costituzione Mortati motivava la sua proposta di «statuizione costituzionale»; Fanfani chiedeva «un articolo che parli espressamente della terra». Il latifondo era la questione più urgente ma divisiva; Di Vittorio ne chiedeva l’«abolizione » ed Einaudi la «trasformazione», scelta che si imponeva in nome delle diverse ‘Italie rurali’; non si recepiva la proposta di una norma intesa ad ostacolare le grandi proprietà terriere. L’articolo 44 della Costituzione prevedeva una legge a imporre «obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata», al fine di «conseguire il razionale sfruttamento del suolo ed equi rapporti sociali». Bolla apprezzava la scelta di «trasformare la proprietà individuale in proprietà sociale»; Vassalli scriveva di un non originale «prontuario di risoluzione del problema agrario». Nel progetto del Ministro per l’agricoltura Segni – che riusciva a far varare una contrastata riforma agraria – l’art. 44 dettava compiti al «legislatore futuro»; la legge Sila 21 Maggio 1950, la legge stralcio del 21 Ottobre 1950 per le zone particolarmente depresse, i progetti di legge sui contratti agrari erano discussi nel Terzo congresso di diritto agrario e nel primo Convegno internazionale, promosso da Bolla, con interventi di Bassanelli, Segni, Capograssi, Pugliatti, Santoro Passarelli, Mortati, Esposito. Il lavoro era considerato l’architrave della proprietà della terra, «diritto continuamente cangiante, che deve modellarsi sui bisogni sociali» (Bolla). In questo quadro è interessante la riflessione teorico-pratica, giuridico-politica di Mario Bracci, docente di diritto amministrativo a Siena, rettore, incaricato anche dell’insegnamento di diritto agrario. Rappresentante del PdA alla Consulta nazionale nella Commissione agricoltura, Bracci si proponeva di scrivere un «libro sulla socializzazione della terra», mai pubblicato; l’Archivio personale offre una mole di appunti finora inediti sul tema. Bracci collocava nella storia la proprietà della terra, che aveva senso nel «lavoro»; la definiva architra... PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16892
Authors:Elisabetta Fusar Poli Pages: 377 - 417 Abstract: Lo scritto affronta il «modernissimo» diritto sulla propria immagine, nello svolgersi delle sue dinamiche attraverso il caleidoscopico e cruciale tornante otto-novecentesco. L’attenzione è rivolta agli apporti dottrinali e giurisprudenziali che hanno contribuito a tratteggiare e poi definire un diritto soggettivo autonomo avente ad oggetto la propria immagine personale, e a trovare per esso una collocazione all’interno dell’ordine giuridico, dalla fine dell’Ottocento alla pubblicazione del Libro primo del Codice Civile. Il tema è sollecitato dall’innovazione tecnica in corso nel periodo considerato e dagli stimoli di una società ormai in fase protomediatica, nella quale la riproduzione della fisionomia umana, agevolata dalle potenzialità dei moderni mezzi di comunicazione, acuisce l’urgenza di una tutela per ciò che appare strettamente inerente alla persona e, al contempo, proiezione sociale dell’individuo, interfaccia fra la sua dimensione privata e quella pubblica. Dalla tutela dell’onore e della reputazione, alla protezione dalle incursioni indebite nella sfera personale, il complesso tema è al crocevia fra diversi spazi giuridici e si apre nel Novecento a inattesi sviluppi e trasformazioni. Si inserisce, infatti, gradualmente, entro una più complessa concezione di persona, che emerge da una riflessione scientifica trasversale ai campi della sociologia, antropologia, filosofia, biologia, e volge in direzione della ‘identità personale’. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16893
Authors:Emiliano Vitti Pages: 419 - 449 Abstract: Il sistema basato sulla dottrina politica nazionalsocialista non nacque accompagnato né da una base culturale giuridica propria, né con il presupposto di “appoggiarsi” allo Stato per poter riorganizzare la vita sociale ed economica tedesca. In effetti, furono i numerosi giuristi nazionalsocialisti ad elaborare una sorta di “struttura delle fonti giuridiche” che costituisse una riserva di strumenti giuridici da utilizzare per raggiungere un punto di “fusione” tra impianto istituzionale e dottrina politica di indirizzo. Gli effetti distorsivi che il nuovo “Diritto Nazionalsocialista” ebbe nella gestione dei territori, specie in quelli occupati durante la guerra, si manifestarono con maggiore intensità sul territorio polacco, o meglio su quella porzione di territorio rinominato Generalgouvernement für die besetzten polnischen Gebiete; sia negli alti livelli della Zivilverwaltung, sia nell’amministrazione dei distretti locali (Kreise), i personalismi dei funzionari si manifestarono con forza, anche grazie all’uso di forme di decretazione personale dotate di differente efficacia. L’obiettivo di questo scritto è porre in relazione gli strumenti giuridici di decretazione personale con l’operato dei molti “piccoli Führer” che operarono in una entità amministrativa atipica come il Governatorato generale di Polonia mostrando, talvolta prima con l’inadeguatezza che con la brutalità, il volto peggiore della Zivilverwaltung. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16894
Authors:Carmela Maria Spadaro Pages: 451 - 484 Abstract: Una vicenda poco nota, relativa ad una stagione di battaglie sindacali è quella di cui si resero protagoniste le raccoglitrici di fiori di gelsomino della Calabria jonica. Il loro lavoro rappresentò, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del ‘900, un elemento importante nella storia economica e sociale del territorio calabrese, favorendo la creazione di un’interessante rete di collegamento tra le numerose imprese agricole di piccole e medie dimensioni operanti nel territorio ed alcuni tra i più noti marchi dell’industria profumiera francese. L’acquisita consapevolezza del profilo “internazionale” e, dunque, dell’importanza del proprio lavoro nella promozione industriale e sociale del territorio, fu all’origine di una stagione di rivendicazioni, che sancirono un netto miglioramento delle condizioni lavorative ed una maggiore considerazione sociale per queste donne trovatesi improvvisamente, anche per effetto della disoccupazione maschile e dell’emigrazione, a ricoprire il ruolo di capo-famiglia; altresì posero all’attenzione del Parlamento la necessità di dare riconoscimento normativo alle istanze delle lavoratrici. Nella lotta sindacale condotta da queste pioniere dei diritti delle lavoratrici si intrecciarono, ad un certo punto, interessi che rischiarono di snaturane il significato, ma esse seppero tenere testa alle strumentalizzazioni che provenivano da varie parti, battendosi solo per i loro diritti. La crisi del settore, determinata da un eccesso di produzione rispetto alla domanda e dalla concorrenza di alcuni paesi esteri (Egitto, Israele, Spagna, Algeria, Tunisia), che poterono giovarsi anche dei minori costi della manodopera, provocò un crollo verticale delle vendite di gelsomino, conducendo nel giro di pochi anni alla totale sparizione della coltura dalle coste calabresi. Il legislatore intervenne tardivamente per disciplinare molti di quei diritti che le raccoglitrici di gelsomino erano riuscite a conquistare, ottenendo una contrattazione collettiva provinciale che rispettava e richiamava il diritto consuetudinario. L’intervento dello Stato fu tardivo perché alla fine degli anni Settanta quasi più nessuno in Calabria coltivava il gelsomino e le mutate condizioni del mercato internazionale dirottarono le commesse dell’industria francese verso Paesi più competitivi. Tuttavia, il ruolo pionieristico di queste donne, il cui lavoro tracciava di per sé un’identità di genere, segnò sicuramente un passo decisivo verso il cambiamento sociale e l’emancipazione femminile, che sembra doveroso ricordare. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16895
Authors:Raffaella Bianchi Riva, Chiara Spaccapelo Pages: 485 - 546 Abstract: Il tema dell’eccessiva durata dei processi e delle sue conseguenze pregiudizievoli sull’effettività della tutela giudiziaria rappresenta, da sempre, uno dei principali nodi del rapporto tra giustizia e opinione pubblica. Sin dall’unificazione italiana, la questione è stata affrontata per lo più sul piano delle riforme del processo e dell’ordinamento giudiziario, senza, tuttavia, la predisposizione di adeguati interventi in grado di incidere sull’organizzazione delle strutture e del personale. Se soltanto di recente il nostro ordinamento ha approntato strumenti di tutela diretta al principio della ragionevole durata del processo, formalizzato nell’art. 111 Cost., la responsabilità disciplinare dei magistrati per ritardo nel deposito dei provvedimenti ha rappresentato, sin dall’inizio del Novecento, uno degli strumenti principali non solo per reprimere gli episodi più gravi (oggi determinanti addirittura un danno erariale da disservizio), ma anche per restituire credibilità alla funzione giudiziaria, nell’ambito delle complesse dinamiche relative al rapporto tra magistratura e società. Lo studio mira a valutare se, in assenza di idonei strumenti normativi volti ad evitare o quantomeno a contenere il fenomeno della lunghezza dei procedimenti, gli interventi della giurisprudenza, prima, della Suprema corte disciplinare e, dopo, della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, chiamate a sanzionare gli illeciti dei singoli magistrati, siano stati in grado, nella difficoltà di trovare un equilibrio tra standard di rendimento e carichi esigibili, di rispondere in maniera soddisfacente al contenimento dei tempi del processo e alla riduzione dell'arretrato, obiettivi tra i principali del PNRR. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16896
Authors:Laura Ciccozzi Pages: 547 - 562 Abstract: La storia della disobbedienza civile inizia negli Stati Uniti nel XVII secolo. Il whistleblowing, come atto di disobbedienza civile tipico dell’età contemporanea, è emblematico dell’evoluzione del concetto attraverso i secoli. La questione di quali circostanze giustifichino la disobbedienza alla legge è fra le più dibattute nella storia del pensiero giuridico. L’articolo analizza, in particolare, il rapporto tra morale e diritto penale o, in altri termini, tra il diritto (e dovere) di disobbedire alla legge in determinate circostanze e le conseguenze di tale disobbedienza. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16897
Authors:Maria Gigliola di Renzo Villata Pages: 563 - 594 Abstract: L’obiettivo è quello di tracciare una linea di evoluzione della professione notarile attraverso i secoli dal basso medioevo all’età contemporanea nell’Italia centro-settentrionale tra ascesa e declino, due poli di uno sviluppo multiforme. Nella ricostruzione si concentrerà l’attenzione su alcuni momenti e snodi: il notaio dell’età bassomedievale interviene nella società e nelle istituzioni con un ruolo crescente, consapevole della propria funzione e forte della sua preparazione, verificata all’ingresso nell’attività. Il Cinquecento sembra rappresentare un momento di crisi, quanto meno nella percezione diffusa. Si intensificano i controlli della preparazione, si istituiscono archivi, si discute della ‘nobiltà’ dei notai. Tra fine Sette e Ottocento gli interventi statali si moltiplicano fino alle prime leggi unitarie: solo nel 1913 si chiederà, come requisito per la professione, la laurea. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16898
Authors:Marialuisa Bottazzi Pages: 595 - 643 Abstract: Solo un numero esiguo di chartae rogate sin dall’alto medioevo si può dire abbia avuto una vita parallela alla consueta e preminente destinazione giuridica o amministrativa notarile grazie alla scelta d’incidere su pietra, il più delle volte da parte dei legatari, anche una sola parte del contenuto testuale pergamenaceo al fine di notificare, di pubblicizzare e di perpetuare, generalmente pro redemptione animae, la memoria di quanto veniva disposto da agiati benefattori a favore, in un primo tempo delle istituzioni monastiche ed ecclesiastiche e più tardi anche gli enti assistenziali, sia religiosi sia laici. La maggior parte di queste non numerose iscrizioni, che classifichiamo come chartae lapidariae, per lo stretto rapporto con le chartae notarili da cui derivano, sono state per la maggior parte prodotte in Italia sin dalla fine del secolo X per essere esposte con una certa frequenza nei luoghi sacri o molto attigui degli stessi. Nella maggior parte dei casi si parla di iscrizioni contenenti atti testamentari o di donazione inter vivos o mortis causa; meno frequentemente il loro tenore dispositivo e probatorio riconduce a bolle papali, decreti o a diplomi regi o imperiali. In ogni caso, siamo sempre di fronte a documenti incisi indiscutibili secondo qualsiasi piano giuridico ma che, per la consuetudinaria perdita del documento notarile da cui derivano e per la facile mancanza anche di uno degli elementi essenziali della charta, per esempio, della datatio, probabilmente per la funzione generalmente assunta, sin dall’impiego romano, di “regesto” dell’atto originale, per la mancanza, si diceva di alcuni elementi essenziale del documento notarile difficilmente possono essere considerati “documenti in senso proprio”, ma solo dei “monumenti” epigrafici a sé stanti, quindi particolarmente interessanti da analizzare solo per il loro “peso” storico. Malgrado ciò, per tutti gli elementi fin qui considerati e riassumibili nella difficoltà di dimostrare l’attendibilità dei contenuti incisi su pietra data l’impossibilità di ricostruire l’intimo impiego epigrafico/documentario intrinseco delle carte lapidarie con il loro originale notarile perduto, qualche importante attenzione verso questo tipo di documentazione è comunque giunta nel secolo scorso grazie ai lavori di Pietro Sella, di Cinzio Violante e di Ottavio Banti. Ciò nonostante, ancora oggi, le chartae lapidariae risultano poco considerate sebbene dinanzi a una rarefazione documentaria, per esempio nel caso di Milano, risultino efficaci per definire il ruolo dei laici sia entro lo spazio ecclesiale sia nella società; sia nello studio degli enti assistenziali, sia religiosi sia laici, come dei ceti dominanti dell’Italia e in special modo di Milano, del secolo XI. Se, dunque sull’interesse storico, seppur analitico dei contenuti della chartae lapidariae, sembra aver spesso prevalso il “peso” diplomatistico, che pone dei limiti all’attendibilità giuridica delle carte lapidarie, con questo lavoro si vuol richiamare l’attenzione su tre casi importanti e eccezionali prodotti nell’ultimo ventennio del secolo XI a Viterbo, a Milano e a Collescipoli. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16899
Authors:Ezio Claudio Pia Pages: 645 - 659 Abstract: La documentazione astigiana dei secoli XIII e XIV restituisce la sperimentazione, da parte del notariato, di modi e forme di definizione dei rapporti economici, segno – come scrive Paolo Cammarosano – del «peso dei notai nel complesso della vita politica e sociale». La scrittura notarile inquadra le criticità delle relazioni mercantili- finanziarie, costruendo meccanismi di compensazione e di regolazione, e intervenendo nel complesso incontro tra credito e politica in ambito fiscale. Una conferma della peculiare competenza «in intelligendo, disquirendo et componendo» che il giurista duecentesco Martino da Fano attribuisce al notariato. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16903
Authors:Miriam Davide Pages: 661 - 676 Abstract: Il saggio prende in esame le diverse tipologie di contratti di obbligazioni presenti nella documentazione del Centro-Nord d’Italia nel quadro della normativa giuridica prodotta a partire dai formulari di Ranieri di Perugia, Salatiele e Zaccaria Martino, dove tali atti seguono a quelli tradizionali quali le vendite, le donazioni inter vivos o i testamenti. Gli atti di credito si presentano in modo simile dal momento che gli stessi criteri sono presenti ovunque con una sorta di canovaccio comune. Nella maggior parte delle città italiane i notai sono soliti scrivere i contratti di credito su vacchette, che contengono le informazioni principali relative al negozio direttamente davanti agli interessati trascrivendo poi in un secondo momento i medesimi atti in registri nei quali è proposta la versione estesa dei documenti. La scrittura della minuta contiene generalmente in modo sintetico tutte le clausole di garanzia; la successiva registrazione nel protocollo notarile è autentificata dal notaio e garantita dall’autorità pubblica. La pratica dell’uso dei quaderni di minuta è contemporanea all’aumento degli atti di credito e alla loro organizzazione nei formulari notarili. Saranno oggetto di approfondimento tra gli altri il mutuo semplice, il deposito, le vendite a credito, la soccida e le numerose tipologie di prestito dissimulato. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16904
Authors:Gian Paolo Giuseppe Scharf Pages: 677 - 689 Abstract: Milano e Arezzo, due città apparentemente molto distanti, ma in realtà piuttosto simili in fatto di civiltà notarile, vengono qui confrontate da questo punto di vista per evidenziare similitudini e particolarità della produzione notarile, della sua conservazione, della carriera e del ruolo di tali protagonisti, del formulario usato da essi. L’analisi viene estesa anche al contado, considerato parte inscindibile di un unico spazio comunale che nella città aveva il suo centro. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16905
Authors:Francesco Bettarini Pages: 691 - 718 Abstract: La connessione tra la scrittura pubblica e la figura del notaio nella città di Ragusa (Dubrovnik) è l’argomento principale di questo contributo. Centro urbano posto all’esterno della giurisdizione del Sacro Romano Impero, l’evoluzione della pratica notarile conobbe qui percorso divergenti dal modello ideato dalla scuola giuridica bolognese, sebbene il peso della sua influenza raggiungesse anche le città della costa dalmata. Il risultato più evidente di questa tradizione peculiare fu l’assimilazione del notariato e del cancellierato all’interno di una sola figura professionale, assorbita all’interno della burocrazia dello stato. In ragione della loro esperienza e formazione maturata presso gli studi universitari, il governo raguseo decise alla fine del XIII secolo di affidare l’ufficio notarile ai soli notai italiani. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16906
Authors:Paolo Cammarosano Pages: 719 - 736 Abstract: L’autore spiega come l’importanza dei notai in ambito urbano (un ambito che dal punto di vista culturale era dal secolo XII dominante rispetto ai territori) fosse molto superiore alla loro presenza numerica, che ruotava intorno al 4% della popolazione cittadina. Questa importanza derivava dal fatto che l’intervento notarile era imprescindibile nella redazione sia degli atti privati che delle scritture delle pubbliche amministrazioni. Poiché l’ascesa al notariato era principalmente il fatto di maestri artigiani, così l’acquisizione della professione notarile era il vertice di una doppia mobilità sociale, dall’acquisizione della maestranza artigiana, partendo normalmente dal discepolato, al passo successivo del notariato. Imprescindibile per questo passo era la padronanza della lingua latina, unica ammessa alla scrittura. Da questa padronanza i notai potevano ascendere a ruoli pubblici importanti e alla confezione di opere letterarie e scientifiche, dove il loro peso fu molto superiore a quel 4%. L’autore illustra il paesaggio di queste scritture e dell’epoca d’oro degli anni 1240-1340 circa. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16907
Authors:Stefania T. Salvi Pages: 737 - 762 Abstract: Il contributo intende esaminare i caratteri del notariato milanese nel delicato momento di passaggio dall’antico regime alla successiva età napoleonica, quando l’ideologia della Rivoluzione, esportata dalle armate napoleoniche, comportò, nello specifico settore notarile, l’abbandono delle eterogenee funzioni che avevano caratterizzato i notai settecenteschi, in continuo bilanciamento tra ‘privato’ e ‘pubblico’, e l’affermarsi di una serie di nuovi, fondamentali principi. Si studierà, in particolare, il caso di Milano che, dopo aver conosciuto alcuni cambiamenti di rilievo sul finire dell’ancien régime, come la nascita dell’Archivio pubblico (1775), la riforma giuseppina del reclutamento dei notai e il Regolamento generale per i notari della Lombardia austriaca (1794), visse, prima da capitale del Regno d’Italia napoleonico e poi nella realtà politica del Regno Lombardo-Veneto, un’intensa stagione di vivaci dibattiti in merito all’opportunità e alle modalità di innovare una professione, da tempo esercitata in maniera proteiforme da un ceto, tutt’altro che compatto, in cui si distinguevano operatori molto diversi tra loro per cultura e provenienza sociale. Senza apparentemente soffrire i frenetici rivolgimenti politici della prima metà dell’Ottocento, i notai lombardi si dimostrarono una categoria operosa, capace di adattarsi ai tempi nuovi, non più frenati, nella loro ascesa sociale e professionale, dai vincoli imposti dalla società di antico regime. PubDate: 2021-12-22 DOI: 10.54103/2464-8914/16908